Teoria per l'unificazione della materia e della radiazione

La parola Energia identifica un’entità immateriale che può manifestarsi in diverse modalità e una delle sue possibili manifestazioni è nella forma di radiazioni elettromagnetiche (fotoni).
Dal punto di vista sperimentale è stato dimostrato che dalla collisione di due fotoni a 0,51MeV si generano un elettrone e un positrone, che sono due particelle materiali dotate di carica con segno opposto.
Ancora più interessante è la produzione di coppie da un singolo fotone a 2·0,51MeV. In questo caso il fotone a seguito dell’interazione con il campo elettrostatico di un nucleo atomico si rompe per dare origine ad un elettrone e ad un positrone.


Questi due esperimenti suggeriscono (se non addirittura provano) che nel fotone sono già esistenti le cariche, ma essendo presenti in uguale quantità, il fotone appare elettricamente neutro.
Sembrerebbe plausibile quindi che il fotone possa essere identificato oltre che come vettore di energia e di massa anche come vettore di carica elettrica.
Per analogia con la sua energia (E=h·v) e la sua massa (m=hv/c²) si assume che anche la quantità di carica trasportata sia direttamente proporzionale alla frequenza (q=costante·v).
Il valore della costante di proporzionalità si stima essere pari al rapporto fra la costante di Planck e la minima energia fotonica per la produzione di coppie (=h/1,02MeV).


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Il fotone è un’entità stabile. Tuttavia i due esperimenti appena citati dimostrano che in alcune condizioni si convertono spontaneamente in materia.
Nel primo caso due fotoni distinti si sovrappongono nello spazio e si formano un elettrone e un positrone.
Nel secondo, un singolo fotone dà origine ad un elettrone e ad un positrone a seguito dell’interazione con il fortissimo campo elettrostatico di un nucleo atomico.
Nel forum Scienza Laterale (discussione intitolata "E-cat e dintorni") è stato ipotizzato che nel fotone la carica positiva e quella negativa si manifestino con la stessa periodicità della frequenza di oscillazione del fotone.
In quella sede è stato dimostrato con pochi semplici calcoli che per ottenere una deviazione apprezzabile della traiettoria servirebbero campi elettrostatici enormi. È curioso notare che in natura tali campi raggiungono i valori calcolati proprio in prossimità dei nuclei atomici.
Similmente, l’uso di un campo elettromagnetico oscillante e sincronizzato con quello del fotone permetterebbe di ottenere deviazioni significative senza grosse difficoltà ed è proprio la situazione in cui si trovano due fotoni che collidono.

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Si consideri ora la formazione dell’atomo di idrogeno a partire da un protone e un elettrone lontani e nel vuoto. Quando l’atomo di idrogeno si forma avviene l’emissione di un singolo fotone a una determinata frequenza. Per quanto visto finora i fotoni però contengono carica. Ma allora da dove viene presa quella necessaria per creare il fotone uscente?
Sono state individuate due possibili risposte.

Una prima possibilità è che la carica positiva necessaria alla generazione del fotone venga fornita dal protone e quella negativa dall’elettrone. Pertanto queste due particelle nell’atomo di idrogeno si troverebbero ad avere una carica minore di quella che avevano quando erano isolate.
Rispetto al valore iniziale delle particelle isolate, il protone avrà un deficit di carica positiva, mentre l’elettrone avrà un deficit di carica negativa.
Analogamente, quando due atomi di idrogeno si legano per formare una molecola di idrogeno, l’emissione di un fotone fa perdere ulteriore carica sia ai due protoni sia ai due elettroni incrementandone i rispettivi deficit.
Nella dematerializzazione dell’atomo di idrogeno (effetto Rossi) il consumo della carica continua per emissioni di altri fotoni, ma mentre l’elettrone scompare, nel caso del protone la sua grande massa permane quasi invariata fino al raggiungimento della neutralità.
La particella risultante, uno pseudo-neutrone, potrebbe essere instabile come il neutrone e potrebbe andare incontro a decadimento spontaneo con emissione di fotoni termalizzabili.
Questa prima interpretazione è tuttavia in contrasto con quanto attualmente conosciuto e accettato perché invoca la variazione di carica delle particelle elementari quando si legano per formare gli atomi e le molecole.

Un’altra possibilità meno controversa e in linea con le attuali conoscenze parte dalla considerazione che il protone ha una massa molto maggiore rispetto all’elettrone pur avendo una carica identica (a parte il segno). È perciò possibile vedere l’eccesso di massa come una riserva di cariche positive e negative fuse assieme e quindi ininfluenti sulla carica complessiva netta del protone.
In questo caso l’emissione fotonica che si osserva nella formazione dell’atomo di idrogeno a partire da protone ed elettrone isolati non causerebbe una perdita di frazione di carica da parte del protone e da parte dell’elettrone.
Diventa infatti possibile che le due cariche che servono per la generazione del fotone provengano entrambe dal protone che quindi non cambierà il valore della sua carica (e lo stesso succederà all’elettrone), ma comporterà solo un difetto di massa del protone. Tuttavia, essendo il protone non più isolato ma legato ad un elettrone (quindi si parla di atomo di idrogeno), il difetto di massa verrebbe imputato all’intero atomo.
Similmente, quando due atomi di idrogeno isolati si legano per formare una molecola di idrogeno, le cariche positive e negative per la generazione dei fotoni emessi originano entrambe dai protoni degli atomi di idrogeno leganti che quindi perderanno ancora massa (rispetto a quella che avevano nell’atomo di idrogeno isolato) senza variare la carica netta complessiva. Il risultato finale è che la molecola di idrogeno risulterà più leggera della massa risultante dalla somma degli atomi di idrogeno isolati.
Se ciò fosse vero è possibile che nella dematerializzazione dell’atomo di idrogeno (effetto Rossi) avvenga una prima fase di consumo progressivo del protone ed è possibile che la fase condensata (idrogeno adsorbito su matrice metallica) serva per stabilizzare i vari stati di alleggerimento del protone.
Il consumo della massa del protone terminerebbe con la comparsa di un positrone e alla sua inevitabile annichilazione con conseguente emissione di una coppia di fotoni a 0,51MeV.
La presenza di questo tipo di emissione, che sarà comunque rara dato che prima deve consumarsi l’intera massa del protone, potrebbe essere una conferma preliminare del meccanismo proposto.

La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Sulle critiche al COP>2 e alla perdita di controllo della reazione

Ipotesi della ganascia termica sulla produzione di eccessi di calore anomali come spiegazione dell’effetto Rossi

Nota informativa: questo post è il proseguimento di quanto pubblicato la scorsa settimana con il titolo "La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Sull’importanza del rapporto fra la superficie e il volume del metallo"

In base all’interpretazione proposta l’argomentazione che la presenza di un COP>2 renda il sistema instabile perché dovrebbe osservarsi un aumento incontrollato della temperatura è priva di fondamento.
L’innesco dei fenomeni esotermici anomali avviene durante il raffreddamento determinando un COP istantaneo molto elevato. Questo effetto a sua volta si ripercuote positivamente sul COP complessivo facendolo aumentare senza alcun vincolo al superamento di un limite complessivo pari a 2.
Il meccanismo individuato conferma inoltre l’inesistenza del rischio che le reazioni esotermiche anomale possano fare perdere il controllo del sistema per un riscaldamento eccessivo.

Letture consigliate: E-Cat e dintorni

La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Sull’importanza del rapporto fra la superficie e il volume del metallo

Ipotesi della ganascia termica sulla produzione di eccessi di calore anomali come spiegazione dell’effetto Rossi

Nota informativa: questo post è il proseguimento di quanto pubblicato la scorsa settimana con il titolo "La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Sui requisiti termici e sulle tempistiche"

Il rapporto fra superficie e volume di un corpo solido dipende sia dalla sua forma geometrica che dalle sue dimensioni.
Per quanto concerne il secondo fattore si osserva un incremento del rapporto al diminuire delle dimensioni perché la superficie diminuisce meno rapidamente del volume.
Quanto sopra comporta che, al diminuire delle dimensioni strutturali del metallo, l’incremento di superficie esposta all’idrogeno determina un aumento dell’intensità della reazione di idrogenazione.

Si noti che l’esistenza di un reticolo metallico abbastanza esteso potrebbe essere una condizione indispensabile per il manifestarsi della ganascia termica. In quest’ottica appare assolutamente ragionevole attendersi che scendere al di sotto di una certa soglia dimensionale potrebbe compromettere la possibilità di comparsa dei fenomeni esotermici in occasione del raffreddamento.

Per questo motivo si ritiene dannoso esagerare con la polverizzazione del metallo e si sconsiglia di avviare la sperimentazione partendo proprio dalle nanoparticelle. In questa configurazione potrebbe mancare l’eccesso termico in quanto sarebbero assenti le condizioni per il realizzarsi dei fenomeni esotermici anomali.
Si ritiene più prudente, utile, semplice e conveniente partire da materiale compatto macroscopico come barrette, laminati, fili, limature o sferette per poi eventualmente scendere di dimensioni al fine di migliorare le tempistiche delle tre fasi (sbilanciamento, incubazione e autosostentamento).

La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Sulle critiche al COP>2 e alla perdita di controllo della reazione

Letture consigliate: E-Cat e dintorni

La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Sui requisiti termici e sulle tempistiche

Ipotesi della ganascia termica sulla produzione di eccessi di calore anomali come spiegazione dell’effetto Rossi

Nota informativa: questo post è il proseguimento di quanto pubblicato la scorsa settimana con il titolo "La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Sulla termodinamica e sulla cinetica"

Nell’ipotesi che il realizzarsi dell’idrogenazione nelle profondità del metallo sia effettivamente un requisito indispensabile per la comparsa di fenomeni esotermici anomali durante il raffreddamento si delineano due necessità:

1) il riscaldamento a una temperatura calda che garantisca una apprezzabile velocità di idrogenazione;

2) il mantenimento alla temperatura calda per un tempo sufficientemente lungo affinché l’idrogenazione coinvolga anche posizioni interne alla matrice metallica.

La sperimentazione minima si articola pertanto nell’indagine di due parametri caratterizzanti il processo di incubazione: la temperatura alla quale viene effettuata e la sua durata.
E' conveniente fare iniziare i cicli sempre dalla stessa temperatura fredda minima.
Nella prima fase (sbilanciamento) si provvede al riscaldamento forzato con una rampa termica costante, per esempio di 2°C al minuto, fino al raggiungimento della temperatura calda di incubazione.
Raggiunta la temperatura di incubazione desiderata, la stessa viene mantenuta costante per un tempo che verrà incrementato ad ogni ripetizione del ciclo (per esempio 10 minuti al primo ciclo, 20 minuti al secondo, 30 minuti al terzo, 60 minuti al quarto, 120 minuti al quinto, 240 minuti al sesto).
Al termine dell'incubazione il riscaldamento esterno viene interrotto e si passa alla fase di autosostentamento che porterà al raffreddamento fino alla temperatura minima.
Una volta raggiunta, il ciclo si ripete dalla fase di sbilanciamento e la successiva incubazione a tempo maggiorato.
Completata la serie di incubazioni a tempo crescente per una determinata temperatura calda, si avvia una nuova serie variando la temperatura di incubazione (che sarà superiore rispetto alla precedente).

La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Sull’importanza del rapporto fra la superficie e il volume del metallo

Letture consigliate: E-Cat e dintorni

La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Sulla termodinamica e sulla cinetica

Ipotesi della ganascia termica sulla produzione di eccessi di calore anomali come spiegazione dell’effetto Rossi

Nota informativa: questo post è il proseguimento di quanto pubblicato la scorsa settimana con il titolo "La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Contributo al COP delle varie fasi del ciclo"

La velocità con cui avviene il processo di idrogenazione di un metallo e la posizione del relativo equilibrio chimico dipendono dalla temperatura. A temperatura ambiente molti metalli, in particolar modo quelli di transizione, risultano scarsamente reattivi se non addirittura inerti nei confronti dell’idrogeno. Tuttavia al crescere della temperatura si manifesta in maniera sempre più evidente la capacità di reagire con l’idrogeno perché la velocità del processo di idrogenazione cessa di essere trascurabile.
Per semplificare i ragionamenti, invece di parlare di idruri metallici, è comodo continuare a riferirsi all’idrogeno nel metallo come l’insieme di un protone e di un elettrone immerso nel reticolo metallico.

Essendo il metallo in fase solida, il processo di idrogenazione coinvolge inizialmente gli strati superficiali tendendo a dare luogo ad accumuli locali. Solo con il tempo l’idrogeno avrà la possibilità di migrare in profondità. La diffusione dell’idrogeno all’interno della struttura metallica è un processo a sé stante, diverso da quello chimico costituito dall’idrogenazione, e sarà governato da una sua cinetica. Come la reattività di superficie, anche la capacità di diffondere aumenta con la temperatura.
Si ritiene che la presenza dell’idrogeno negli strati più interni della struttura metallica sia fondamentale per la comparsa dei fenomeni esotermici che rallentano la fase di raffreddamento (prolungando l’autosostentamento).

Le tre fasi termiche che compongono il ciclo (sbilanciamento, incubazione, autosostentamento) si associano pertanto ai seguenti 3 stadi fenomenologici.

1) Il riscaldamento allarga gli interstizi del reticolo metallico e incrementa la reattività del metallo nei confronti dell’idrogeno (SBILANCIAMENTO)

2) L’idrogeno migra all’interno del metallo caldo occupando gli interstizi allargati dal riscaldamento (INCUBAZIONE)

3) Il raffreddamento contrae i volumi interstiziali e l’idrogeno interstiziale viene schiacciato dalla struttura metallica che si ritira nel raffreddamento. Lo schiacciamento determina l'avvicinamento dell'elettrone al protone (compressione elettronica) innescandone la loro dematerializzazione con liberazione di un treno di fotoni termalizzabili (AUTOSOSTENTAMENTO)

La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Sui requisiti termici e sulle tempistiche

Letture consigliate: E-Cat e dintorni

La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Contributo al COP delle varie fasi del ciclo

Ipotesi della ganascia termica sulla produzione di eccessi di calore anomali come spiegazione dell’effetto Rossi

Nota informativa: questo post è il proseguimento di quanto pubblicato la scorsa settimana con il titolo "La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Il ciclo operativo"

L’oscillazione della temperatura nel corso del ciclo termico, da un valore minimo individuato nella temperatura fredda Tf a un valore massimo individuato nella temperatura calda Tc, comporta la coesistenza di fenomeni di varia natura che contribuiscono al bilancio energetico del sistema e quindi al COP.
Quando un metallo in presenza di idrogeno viene sottoposto a variazioni di temperatura si sovrappongono diversi fenomeni sia di tipo fisico che di tipo chimico.
Appartengono al primo gruppo i fenomeni termodinamici come il trasporto termico e l'accumulo di calore, ma anche eventuali variazioni di stato fisico dei materiali.
Nella seconda tipologia rientra invece la reazione di idrogenazione del metallo.
Il loro contributo al bilancio termico è importante in tempi brevi perchè determina consistenti fluttuazioni del COP istantaneo, ma perde di importanza all'aumentare del numero di ripetizioni del ciclo.
Inoltre, è facilmente dimostrabile che gli stessi fenomeni non potranno in alcun modo giustificare una produzione di energia termica superiore a determinati valori di soglia.

Di seguito vengono presentati e discussi brevemente i processi fisico/chimici coinvolti e il bilancio energetico dal punto di vista del COP in ciascuna delle tre fasi.
Viene riproposta l'immagine del diagramma di flusso del ciclo termico per agevolare la comprensione di quanto scritto di seguito.


FASE A - Sbilanciamento

Il ciclo inizia fornendo energia dall’esterno (EA,input) per indurre l’innalzamento dalla temperatura fredda Tf alla temperatura calda Tc.
L’innalzamento della temperatura provoca dal punto di vista fisico il fenomeno dell’accumulo di calore a carico dei materiali soggetti a riscaldamento che fa apparentemente “sparire” dell’energia (in realtà la “sparizione” è solo temporanea). Dal punto di vista chimico favorisce la reazione di idrogenazione del metallo con liberazione di calore che amplifica la perturbazione termica innescata dall’energia immessa dall’esterno.
La presenza di questi due fenomeni antagonisti sul piano energetico rende difficile prevedere a tavolino se il COP di questa fase sarà maggiore o inferiore all’unità.

FASE B - Incubazione

Al raggiungimento della temperatura calda Tc, l’immissione di energia dall’esterno viene ridotta e si entra nella seconda fase.
L’assenza di ulteriori incrementi di temperatura interrompe il fenomeno di accumulo termico mentre continua il processo esotermico di idrogenazione del metallo (il processo di idrogenazione è comunque destinato a "spegnersi" dopo un certo tempo per il raggiungimento dell'equilibrio di reazione). In questa fase è atteso un COP maggiore di 1 in quanto in uscita (EB,output) si avrà oltre all’energia immessa dall’esterno (EB,input) anche quella generata dalla reazione chimica fra l’idrogeno e il metallo.
La fase termina riducendo o annullando l’energia in ingresso (EC,input<EB,input).

FASE C - Autosostentamento

Nell’ultima fase avviene il raffreddamento dalla temperatura calda Tc alla temperatura fredda Tf. In questa fase viene senza dubbio recuperata l’energia termica accumulata come differenza di temperatura dei materiali di cui si è accennato nella prima fase.
Si noti che solo questo fenomeno di recupero energetico è sufficiente a garantire un COP istantaneo superiore all’unità (EC,output>EC,input).
Tuttavia se il raffreddamento viene rallentato per effetto del realizzarsi di processi esotermici anomali che consumano idrogeno, la durata di questa fase si potrebbe prolungare a tal punto da risultare in una produzione di energia incompatibile con i processi fisici e chimici noti.
Il mantenimento di un COP istantaneo a valori molto superiori a 1 determina con il passare del tempo anche la crescita del COP complessivo.
Al raggiungimento della temperatura fredda Tf il metallo risulterà meno idrogenato rispetto a quando era iniziato il raffreddamento. A questo punto il ciclo ricomincia aumentando l’apporto di energia per riscaldare fino alla temperatura calda Tc.

Osservazioni

Per quanto visto sopra, le prime due fasi denominate rispettivamente sbilanciamento e incubazione assumono una funzione essenzialmente preparativa del metallo affinché risulti correttamente caricato con l’idrogeno prima che inizi il raffreddamento.
Dovrebbe essere chiaro invece che la terza fase, cioè quella in cui avviene il raffreddamento rallentato dai fenomeni esotermici anomali, fase identificata con il termine autosostentamento, è la più importante in quanto è quella che determina l’ottenimento o meno di un COP complessivo e duraturo superiore all’unità.

La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Sulla termodinamica e sulla cinetica

Letture consigliate: E-Cat e dintorni

La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Il ciclo operativo

Ipotesi della ganascia termica sulla produzione di eccessi di calore anomali come spiegazione dell’effetto Rossi

Nota informativa: questo post è il proseguimento di quanto pubblicato la scorsa settimana con il titolo "La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Introduzione"

L'idea che i fenomeni responsabili delle anomalie termiche si manifestino durante il raffreddamento porta a ritenere indispensabile e inevitabile un intervento esterno che reinnalzi al bisogno la temperatura del metallo idrogenato per il ripetersi del processo di raffreddamento rallentato. Più esplicitamente, il metallo immerso in atmosfera di idrogeno viene sottoposto a sollecitazioni termiche controllate.

Le fasi del ciclo da ripetere in sequenza sono sostanzialmente tre.

Fase A - Sbilanciamento
Riscaldamento da una temperatura fredda Tf a una temperatura calda Tc

Fase B - Incubazione
Mantenimento alla temperatura calda Tc per consentire la reazione chimica di idrogenazione

Fase C - Autosostentamento
Interruzione del riscaldamento e raffreddamento spontaneo fino alla temperatura fredda Tf

A ciascuna fase è associabile un’energia in ingresso (EA,input EB,input EC,input) che per convenienza potrà essere di tipo elettrico in quanto più facilmente controllabile e un’energia in uscita di tipo termico (EA,output EB,output EC,output).

Il diagramma di flusso della figura sotto illustra graficamente le varie fasi appena definite e le grandezze fisiche in gioco.


Uno degli indicatori per l'utilità di un ciclo termico come quello presentato in queste righe è il COP (coefficiente di prestazione). Esso è definito come il rapporto fra l'energia prodotta e l'energia consumata. Sebbene possa essere calcolato puntualmente in ogni singola fase, quello che conta è il valore complessivo per tutto il ciclo. Tale valore è dato dal rapporto fra la somma dei contributi in output e la somma di quelli in input

COP = ( EA,output + EB,output + EC,output ) / ( EA,input + EB,input + EC,input )

La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Contributo al COP delle varie fasi del ciclo

Letture consigliate: E-Cat e dintorni

La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Introduzione

Ipotesi della ganascia termica sulla produzione di eccessi di calore anomali come spiegazione dell’effetto Rossi

Si ritiene possibile che i metalli, in particolar modo quelli di transizione, possano manifestare una rallentata velocità di raffreddamento se sono stati precedentemente sottoposti ad idrogenazione. Il raffreddamento rallentato sarebbe dovuto alla comparsa di fenomeni esotermici che al momento non è ancora stato possibile identificare con certezza.
L’ipotesi più innovativa e accattivante individuata è che il calore in eccesso possa originare dalla dematerializzazione dell’idrogeno.
Questa possibilità è stata introdotta come possibile giustificazione dell’effetto Rossi nel forum Scienza Laterale alla discussione "E-Cat e dintorni" nel commento del giorno 14 novembre 2014 intitolato "Smaterializzazione dell'idrogeno" che per comodità viene riportato di seguito.


In questa visione la presenza dei processi LENR appare superflua, parassita e perfino dannosa in quanto, sia la formazione di nuovi elementi (variazione del numero di protoni nucleari) che di nuovi isotopi (variazione del numero di neutroni nucleari), porterebbe ad un lento ma inesorabile degrado del combustibile dovuto alla deriva della sua composizione elementare/isotopica.
Semplificando al massimo, l’idea è che gli interstizi matriciali nel metallo, che hanno dimensioni dipendenti dalla temperatura, fungano da camera di compressione elettronica durante il raffreddamento e l’eccessivo avvicinamento dell’elettrone al protone porterebbe a una destabilizzazione tale da innescare il fenomeno della dematerializzazione con emissione di un treno di fotoni termalizzabili dal metallo vicinale.
La componente metallica all'interno del reattore avrebbe in sostanza la funzione di catalizzatore offrendo i siti attivi che rendono possibile la dematerializzazione dell'idrogeno. Quest'ultimo diventerebbe il combustibile vero e proprio in quanto è l'unico componente che si consuma.

La ganascia termica nella generazione di calore anomalo - Il ciclo operativo

Letture consigliate: E-Cat e dintorni

L'appuntamento settimanale di Scienza Laterale

Come anticipato nel precedente post, si comunica ai lettori che il giorno 18 aprile 2014 alle ore 9:00 inizierà l’appuntamento settimanale del sabato sul blog Scienza Laterale sulle ipotesi, ragionamenti e teorie che mirano a spiegare le anomalie termiche sull'E-Cat di Andrea Rossi.
Dopo mesi di silenzio stampa, fra pochi giorni e per molte settimane a venire, riprende la divulgazione di nuovi spunti su questo scottante e ancora controverso argomento.

E-Cat e dintorni

La produzione di energia termica anomala rivendicata dall’inventore Andrea Rossi per il suo reattore denominato E-Cat continua ad essere oggetto di animate controversie e dispute accese fra appassionati, professionisti, scienziati e curiosi.
Anche se nel web è già possibile trovare teorie e ipotesi per tutti i gusti e tutte le tasche, per ingannare il tempo, ne verranno aggiunte altre alle molte già presenti partendo dalle più semplici per arrivare via via a quelle più complesse.
Più che di certezze acquisite si tratta piuttosto di speculazioni, elaborate sulla base dei riscontri sperimentali noti e sulle dichiarazioni pubbliche dei vari ricercatori nel campo delle LENR.
Non si può certo escludere che il lettore potrà ravvedere somiglianze con quanto già proposto in altre sedi da autori diversi. In questi anni è stato scritto molto da molte mani e quindi il rischio di una sovrapposizione almeno parziale dei contenuti è praticamente inevitabile.

Il Colibrì – Svantaggi

Espansore volumetrico adiabatico free piston “Colibrì” per generazione elettrica con ciclo Rankine a bassa pressione

La modalità free piston è caratterizzata da un’escursione variabile della parte mobile, ma il funzionamento è possibile solo se l’escursione supera il valore minimo necessario per l’attivazione delle luci di immissione e scarico.
Per ottenere buoni rendimenti è necessario lavorare con un ciclo termodinamico stretto e questo significa che una parte dell’escursione avviene grazie all’inerzia dinamica della parte mobile dell’espansore e la frequenza di pulsazione minima dipende dalle pressioni operative.
La regolazione della corsa può essere fatta sia agendo sulle pressioni operative sia modulando il carico presente sull’alternatore. In questo caso il controllo del carico non svolge la funzione di preservare il rendimento come nelle turbine, ma quella di imbrigliare la frequenza di pulsazione entro i limiti di funzionamento.
L’espansore adiabatico free piston non è auto avviante perché è altamente improbabile che in condizioni di riposo le luci risultino aperte.
L’avviamento può essere comunque realizzato in diversi modi e quello più semplice si basa sull’invio di un impulso elettrico all’alternatore lineare.
L’oscillazione della parte mobile fa spostare il centro di massa del dispositivo e questo determina la comparsa di vibrazioni meccaniche che devono essere gestite.
Un posizionamento verticale dell’espansore offrirebbe indiscutibili vantaggi per quanto riguarda la gestione delle vibrazioni, ma potrebbero nascere delle difficoltà per lo scarico delle eventuali condense all’interno delle camere.

Il Colibrì – Punti di Forza

Espansore volumetrico adiabatico free piston “Colibrì” per generazione elettrica con ciclo Rankine a bassa pressione

L’espansore volumetrico adiabatico può essere dimensionato per erogare qualunque valore di potenza elettrica. Questo significa che è possibile fare in modo che il fabbisogno termico per il suo funzionamento risulti allineato con la portata della sorgente di calore.
Uno dei punti forza dell’espansore è la possibilità di funzionare efficacemente anche in presenza di pressioni modeste. Tale aspetto si ripercuote positivamente a livello termico in quanto le temperature coinvolte sono minori. Il funzionamento con ciclo Rankine a bassa pressione rende accessibile lo sfruttamento di un insieme molto numeroso di sorgenti di calore.
La sigillabilità dell’impianto rende possibile l’adozione di un composto organico come fluido di lavoro. Questo permette di avere pressioni di funzionamento ottimali anche con temperature della sorgente calda di soli 80°C-100°C.
Il rendimento termomeccanico dell’espansore è pressoché indipendente dalla frequenza di funzionamento.

In Italia il prezzo dell’energia elettrica per l’utente finale varia fra 0,10€/kWh e 0,25€/kWh. Questo significa che un generatore da 1kW produce energia elettrica per un controvalore che oscilla fra 0,10 e 0,25 euro per ogni ora di funzionamento.
Considerando le caratteristiche costruttive dell’espansore adiabatico free piston si ritiene verosimile ipotizzare un prezzo finale di circa 0,50 euro per watt di potenza elettrica, ma non si esclude che si possa raggiungere anche il valore di 0,10€/W. Questo significa che un espansore da 1kW dovrebbe costare da 100 a 500 euro.
Al prezzo di 0,50€/W servono 205 giorni di operatività per produrre un pari valore di energia elettrica.

Il Colibrì – Campi di Applicazione

Espansore volumetrico adiabatico free piston “Colibrì” per generazione elettrica con ciclo Rankine a bassa pressione

L’espansore volumetrico adiabatico free piston è un dispositivo versatile in quanto può essere alimentato con qualunque tipologia di fluido compresso in fase aeriforme.
Quando il fluido è gassoso sono assenti le transizioni di fase liquido-vapore e il ciclo termodinamico sottostante è quello di Brayton. Tuttavia, essendo il bilancio energetico con i gas poco favorevole, è verosimile che la loro possibilità di impiego rimanga una mera curiosità accademica.
Molto più interessanti sono le applicazioni in cui l’espansore viene alimentato con vapore compresso e in questo caso il ciclo coinvolto è quello di Rankine.
Nella modalità free piston la destinazione d’uso per eccellenza è la generazione di energia elettrica a partire da una fonte di calore.
Qualunque sorgente termica, in grado di fornire il calore richiesto per il processo di vaporizzazione in un ciclo Rankine anche a bassa pressione, diventa potenzialmente sfruttabile grazie a questo dispositivo.
Una delle sorgenti di calore più appetibili individuate è quella geotermica in zone termali.
Nel settore industriale esistono poi moltissime realtà produttive i cui processi di lavorazione sono associati a cascami termici che potrebbero essere sfruttati per produrre dell’energia elettrica.
In ambito domestico l’unica sorgente termica significativa è quella dell’impianto di riscaldamento dell’abitazione, ma in questo caso il costo del combustibile rende obbligatorio l’assetto cogenerativo e la parte del calore ottenuto dalla combustione che non viene convertito in energia elettrica resta disponibile per la funzione di riscaldamento.
Il vincolo cogenerativo viene a mancare qualora le abitazioni non siano raggiunte dal gestore elettrico nazionale.
Nell’autotrazione è da valutare la possibilità di sfruttamento del calore dei gas di scarico per migliorare il rendimento complessivo del mezzo e ridurre i consumi di carburante.

Il Colibrì – La Tecnologia - PARTE V

Espansore volumetrico adiabatico free piston “Colibrì” per generazione elettrica con ciclo Rankine a bassa pressione

Per poter essere sfruttato ai fini della generazione di energia elettrica, l’espansore deve essere completato dall’alternatore lineare. Per questo componente esistono varie configurazioni possibili. Una di esse ad esempio usa un gruppo mobile a magneti permanenti contrapposti che il movimento del pistone fa entrare e uscire da una serie di avvolgimenti. La figura che segue ne rappresenta un modello tridimensionale.


Indipendentemente dalla configurazione adottata per l’alternatore lineare, è fondamentale che il dimensionamento sia bilanciato rispetto alle caratteristiche dell’espansore.
Gli aspetti da considerare sono molteplici e la frequenza di funzionamento è certamente uno dei parametri più importanti di cui tener conto. Le prestazioni di un alternatore lineare migliorano sensibilmente all’aumentare dalla frequenza operativa per questo motivo si ritiene prioritario puntare ad un funzionamento a frequenza elevata dell’espansore. Si noti che la frequenza di pulsazione dell’espansore può essere controllata regolando il carico sull’alternatore.

Il Colibrì – La Tecnologia - PARTE IV

Espansore volumetrico adiabatico free piston “Colibrì” per generazione elettrica con ciclo Rankine a bassa pressione

A titolo di esempio si riportano i risultati dell’analisi per un caso specifico di funzionamento dell'espansore che si ritiene comunque sufficientemente rappresentativo per una valutazione delle prestazioni coinvolte.


OSSERVAZIONI
Con una temperatura operativa calda di 180°C che permette di avere vapore saturo alla pressione di 10bar e in presenza di scarico atmosferico, il rendimento teorico di conversione termomeccanica dell’espansore adiabatico risulta del 12,2%.
Poiché il rendimento di Carnot alle stesse condizioni di temperatura (Tcalda=179,9°C e Tfredda=99,6°C) vale il 17,7% significa che il motore estrae il 68,9% del massimo teorico.
Sempre a titolo di confronto, il rendimento del ciclo Rankine alle stesse condizioni è pari al 16,6%. In questo caso l’espansore adiabatico ne riesce ad estrarre il 73,5%.
Il lavoro utile per ciclo è di 21,6J, un valore modesto per un motore a vapore di 100cm³ di cilindrata che opera con alimentazione a 10bar.
Si tenga comunque presente che la potenza sviluppata, cioè il lavoro fatto nell'unità di tempo, dipende linearmente dalla frequenza di funzionamento.
Considerando le caratteristiche costruttive del dispositivo è ragionevole ipotizzare che siano tranquillamente accessibili pulsazioni di almeno 50Hz (3000rpm) e in questo caso la potenza risulterebbe amplificata di 50 volte (21,6J · 50Hz = 1080W).

Il Colibrì – La Tecnologia - PARTE III

Espansore volumetrico adiabatico free piston “Colibrì” per generazione elettrica con ciclo Rankine a bassa pressione

Di seguito viene proposta una sequenza di fotogrammi che illustra in dettaglio la dinamica del movimento.


Per quanto appena visto, il volume delle due camere cambia nel tempo e lo stesso accade alla pressione. Riportando i vari punti in un piano cartesiano P-V si ottiene una figura simile a quella sottostante. Si tenga presente che le dimensioni e la forma del grafico dipendono da vari fattori fra cui fluido di lavoro, frequenza di funzionamento, pressioni e temperature operative, cilindrata e rapporto di compressione dell’espansore.


Il grafico mostra che sono presenti 6 trasformazioni:
1) adiabatica AB in colore rosso
2) isocora BC in colore celeste
3) isobara CFC in colore fucsia
4) adiabatica CD in colore blu
5) isocora DA in colore verde
6) isobara AEA in colore fucsia
La pressione al punto A (PA) è la pressione all'immissione, mentre la pressione al punto C (PC) è la pressione allo scarico.
Al punto A la luce di immissione si chiude e la pressione è al suo valore massimo PA.
Dal punto A al punto B avviene un processo di espansione adiabatica che provoca un abbassamento della pressione fino al valore PB.
Affinché il ciclo generi lavoro utile deve essere rispettata la condizione PB>PC come mostrato nel diagramma. Per questo motivo il rapporto di espansione (VB/VA) non è arbitrario, ma dipende delle condizioni operative previste.
Al punto B la luce di scarico si apre e la pressione si porta al valore presente allo scarico, cioè PC.
Poiché il pistone arriva al punto C con una velocità non nulla, procederà ancora per un po’ nella stessa direzione per poi fermarsi e invertire il verso del moto.
Il volume della camera aumenta fino al valore VF e poi ritorna al valore VC mentre la pressione resta fissa al valore PC.
Al punto C la luce di scarico si chiude e la pressione è al suo valore minimo PC.
Dal punto C al punto D avviene un processo di compressione adiabatica che provoca un aumento della pressione fino al valore PD.
Se la pressione di partenza dell'adiabatica di compressione (PC) è più bassa della pressione finale (PB) dell'adiabatica di espansione, la pressione alla fine della compressione adiabatica (PD) sarà minore della pressione all'inizio dell'espansione adiabatica (PA) (questo è sempre vero nell'ipotesi di trasformazioni reversibili, ma potrebbe non esserlo nel caso reale cioè in presenza di irreversibilità dei processi).
Al punto D la luce di immissione si apre e la pressione si porta al valore presente all'immissione (PA).
Poiché il pistone arriva al punto A con una velocità non nulla, procederà ancora per un po’ nella stessa direzione per poi fermarsi e invertire il verso del moto.
Il volume della camera diminuisce fino al valore VE e poi ritorna al valore VA mentre la pressione resta fissa al valore PA e il ciclo riprende con l’espansione adiabatica AB.

Anche se i due processi che avvengono durante la fase di immissione e durante quella di scarico sono stati identificati come isocori, dal punto di vista termodinamico rientrano nella categoria delle trasformazioni isoentalpiche. Tale informazione è determinante per impostare correttamente il calcolo del rendimento teorico del ciclo.
Per questo tipo di espansore non è possibile individuare una relazione semplice che permetta di calcolare le grandezze fisiche di interesse in quanto le energie in gioco, il lavoro utile e il rendimento dipendono fortemente dai parametri operativi e dal dimensionamento dell’espansore.

Il Colibrì – La Tecnologia - PARTE II

Espansore volumetrico adiabatico free piston “Colibrì” per generazione elettrica con ciclo Rankine a bassa pressione

Nell’immagine che segue è rappresentato un modello tridimensionale di una configurazione free piston a doppia camera.



Il modulo è composto da 5 blocchi:
1) in colore verde la parte mobile in cui due pistoni di potenza sono vincolati fra loro da uno stelo il cui ingrossamento è un terzo pistone di diametro inferiore
2) in colore grigio il cilindro con una zona centrale di diametro ridotto che permette l’accoppiamento con il pistoncino dello stelo
3) in colore rosso il collettore di alimentazione
4 e 5) in colore blu i due collettori di scarico

Il pistoncino dello stelo svolge la duplice funzione di creare due camere distinte e gestire l’immissione di fluido compresso per ognuna di esse.
Sul cilindro sono presenti tre serie di fori. Quelli nella porzione centrale sono le luci di immissione del fluido compresso e vengono attivate dal pistoncino dello stelo. Le due serie disposte lateralmente costituiscono le luci di scarico e ciascuna di esse viene attivata dal corrispondente pistone di potenza.

Il dimensionamento dei vari componenti permette la sincronizzazione della luce di immissione di una camera con la luce di scarico dell’altra. Il fluido all’interno di ciascuna camera compie il medesimo ciclo termodinamico e la geometria costruttiva fa in modo che i due cicli risultino costantemente in opposizione di fase.
Nell’immagine proposta sopra, la camera di sinistra è in fase di scarico mentre quella di destra è in fase di immissione.

Il Colibrì – La Tecnologia - PARTE I

Espansore volumetrico adiabatico free piston “Colibrì” per generazione elettrica con ciclo Rankine a bassa pressione

Nel ciclo Rankine il fluido di lavoro subisce un processo di vaporizzazione in cui passa dalla stato liquido allo stato aeriforme e un processo di condensazione in cui il fluido ritorna alla stato liquido. Il primo processo richiede l’immissione di calore mentre il secondo rilascia calore che deve essere smaltito.
Per essere sfruttabile ai fini di una conversione da energia termica in lavoro utile è indispensabile che i due processi avvengano a pressioni differenti e tale condizione implica che le due transizioni si realizzino a temperature diverse, più calda per la vaporizzazione e più fredda per la condensazione.
Il ciclo Rankine permette di separare fisicamente le zone in cui avvengono le due variazioni di fase: un serbatoio caldo in cui avviene la vaporizzazione del fluido pressurizzato e un serbatoio freddo che ospita la condensazione del fluido depressurizzato.
Il fluido pressurizzato passa dal serbatoio caldo al serbatoio freddo in fase aeriforme e ritorna alla camera calda in fase liquida.
Il primo processo è spontaneo e con un opportuno dispositivo che sfrutti l’espansione del fluido si estrae lavoro sotto forma di energia meccanica che a sua volta può essere ulteriormente convertita in energia elettrica.
Il secondo processo, cioè la pressurizzazione del liquido, non è spontaneo e richiede lavoro ovvero immissione di energia meccanica nel sistema.
Il seguente schema a blocchi illustra graficamente i concetti appena esposti.


Il passaggio chiave di tutto lo schema è costituito dall’estrazione dell’energia meccanica durante l’espansione del fluido pressurizzato in fase aeriforme: l’espansore volumetrico adiabatico trova applicazione in questo stadio.
Dal punto di vista meccanico il dispositivo è assimilabile al classico sistema pistone/cilindro. Delle valvole a luce sul cilindro e un’opportuna conformazione del pistone determinano l’immissione del fluido compresso in prossimità del Punto Morto Superiore (PMS) e lo scarico del fluido espanso in prossimità del Punto Morto Inferiore (PMI). I diversi valori di pressione fra il movimento di andata e quello di ritorno determinano un lavoro netto positivo per ogni ciclo di funzionamento.
Pur essendo possibile impiegare la stessa soluzione valvolare in configurazioni dotate di biella e manovella, questo approccio è stato tralasciato in quanto si ritiene più favorevole il bilancio complessivo associato alla modalità free piston.
Le configurazioni free piston sono costruttivamente più semplici e non soffrono del problema dell’usura causata dalle forze laterali tipiche dei sistemi biellati. Un alternatore lineare che riceve il movimento dal pistone dell’espansore provvede alla conversione dell’energia meccanica in energia elettrica. Nel free piston l’innovazione tecnologica incontra l’essenzialità costruttiva.

Il Colibrì – Contesto Commerciale

Espansore volumetrico adiabatico free piston “Colibrì” per generazione elettrica con ciclo Rankine a bassa pressione

L’attuale listino energetico impone agli impianti di generazione elettrica svincolati dall’uso di combustibili nobili (come il gas naturale, il gasolio, la benzina e il GPL) un costo di investimento inferiore a 1 euro per ogni watt di potenza erogata per risultare competitivi.
Perciò, anche se in linea teorica qualunque sorgente termica potrebbe essere sfruttata per produrre energia elettrica, in pratica è necessario che l’operazione sia economicamente conveniente.
Attualmente la turbina a vapore costituisce l’unico esempio di macchina termica che soddisfa i requisiti economici, ma soffre di alcuni limiti di impiego.
Per quanto riguarda la potenza elettrica, la taglia minima è di circa 100kW perché al di sotto di questa soglia il costo della macchina diventa eccessivo.
Le pressioni di alimentazione sono dell’ordine di un centinaio di bar con temperature del fluido che possono raggiungere i 550°C. Questo rende gli impianti intrinsecamente pericolosi e la loro gestione deve essere affidata a personale qualificato.
Alla pericolosità dell’impianto si aggiunge inoltre la rumorosità del funzionamento.
La necessità di operare a pressioni e temperature elevate vincola l’impiego con sorgenti termiche ad alta entalpia.
Esistono tuttavia impianti a turbina di tipo ORC (Organic Rankine Cycle) che permettono di lavorare anche con sorgenti di calore a minore entalpia, ma sempre con potenze elettriche e pressioni elevate.
Dal punto di vista termodinamico il rendimento di una turbina è strettamente correlato alla sua velocità di rotazione e cala rapidamente quando la velocità si discosta dal valore ottimale. Questo rende indispensabile la presenza di un sistema di controllo che moduli il carico al fine di preservare le prestazioni.

Il Colibrì – Descrizione dell’Idea

Espansore volumetrico adiabatico free piston “Colibrì” per generazione elettrica con ciclo Rankine a bassa pressione


Il prezzo attuale dell’energia impone agli impianti di generazione elettrica, svincolati dall’uso di combustibili nobili (come il gas naturale, il gasolio, la benzina e il GPL), un costo di investimento inferiore a 1 euro per ogni watt di potenza erogata.
La necessità da soddisfare, per un futuro successo commerciale, è quindi quella di realizzare un sistema estremamente economico che sia anche durevole nel tempo.
In questo panorama emerge l’idea di un dispositivo di espansione di tipo alternativo, dimensionabile in funzione della potenza da erogare e con una meccanica essenziale caratterizzata dalla presenza di un’unica parte mobile.
La versatilità del ciclo Rankine a bassa pressione unita alla scalabilità dell’espansore ne fanno spaziare il campo di impiego dal settore industriale a quello domestico.
Per le grandi potenze elettriche la sovrapposizione alla nicchia delle turbine è solo parziale in quanto le minori pressioni necessarie per il funzionamento permettono di prelevare l’energia termica anche da sorgenti a bassa entalpia come ad esempio la geotermia presso zone termali e i cascami di calore. In altre parole questa tecnologia rende sfruttabili, ai fini della produzione di energia elettrica, sorgenti termiche altrimenti inutilizzate.
In ambito domestico, cioè per le piccole potenze elettriche (0,1kW-3kW), può trovare impiego in assetto cogenerativo nell’impianto di riscaldamento dell’abitazione in quanto ha l’ambizione di poter diventare la prima apparecchiatura economicamente conveniente ad apparire sul mercato.

Il Colibrì – Contesto Commerciale
Il Colibrì – La Tecnologia - PARTE I
Il Colibrì – La Tecnologia - PARTE II
Il Colibrì – La Tecnologia - PARTE III
Il Colibrì – La Tecnologia - PARTE IV
Il Colibrì – La Tecnologia - PARTE V
Il Colibrì – Campi di Applicazione
Il Colibrì – Punti di Forza
Il Colibrì – Svantaggi


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